giovedì 25 febbraio 2010

in costruz

IL CLIMA E LA CIVILTA'

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Null’altro che il compendio del saggio di Brian Fagan:
“La lunga Estate”
(Come le dinamiche climatiche hanno influenzato la civilizzazione)
“La civiltà nacque-e vive tuttora- durante una lunga estate calda, ma noi non abbiamo ancora idea di quando e come essa finirà.”
(Brian Fagan)
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Questo splendido saggio di Brian Fagan è veramente illuminante per strappare il velo di indeterminatezza e di inconoscibilità che per la maggior parte di noi la parola “clima” ha da sempre significato. L’operazione condotta con grande chiarezza dall’Autore è di porre in stretta connessione la storia della civiltà umana e della sua crescita con i piccoli e grandi eventi climatici che da sempre ritmano la storia della Terra.
Fondamentalmente la tesi da lui sostenuta è che l’umanità ha fin dal suo inizio reagito agli eventi climatici a brevissimo e breve termine ma almeno fino ad oggi aveva ignorato quelli a più lungo termine, ad esempio gli eventi determinati dalla rotazione della terra sul suo asse e dagli spostamenti che su di esso si compiono in scala di molti millenni (la precessione degli equinozi, che impiega 12500 anni per effettuare uno spostamento sullo stesso ed altrettanti per ritornare al punto di partenza.) Questi eventi a lungo termine sono responsabili di mutamenti climatici imponenti che portano la Terra da grandi glaciazioni a periodi di riscaldamento climatico che determina ad esempio lo scioglimento di immense masse di ghiaccio con conseguente innalzamento delle acque anche di 90 metri e quindi la sommersione di aree vastissime.
Ma proprio per rispondere agli eventi climatici a più breve termine l’umanità è cresciuta come civiltà, ha reagito organizzandosi in comunità sempre più grandi e meglio organizzate tali da permetterle di attraversare senza eccessivi danni le “crisi climatiche” più immediate e le carestie ad esse relative. Così è approdata all’agricoltura legandosi alla terra ed abbandonando gradualmente il nomadismo che l’aveva contraddistinta nella sua prima fase di uomini cacciatori-raccoglitori, giungendo alla creazione prima di piccole comunità (villaggi) fino alle moderne città
[1]:
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“Inoltre sostengo che l’umanità è diventata sempre più vulnerabile ai cambiamenti climatici a lungo e breve termine, perché per noi è diventato sempre più difficile e costoso reagirvi. Per decine di migliaia di anni l’uomo si è sempre riunito in gruppi molto ristretti e tutti vivevano della caccia e della raccolta di piante commestibili. La sopravvivenza dipendeva …dalla mobilità e dall’opportunismo, da una flessibilità dell’esistenza quotidiana che permetteva alle persone di muoversi in sincronia con le spinte climatiche – scappando, portando le famiglie in nuovi territori, o semplicemente adattandosi. Attorno al 10.000 a.C., quando l’introduzione dell’agricoltura legò i villaggi ai campi, e quindi l’uomo alla terra che coltivava, la possibilità di muoversi iniziò a ridursi progressivamente. Più persone da nutrire,e popolazioni dei villaggi più numerose: i rischi erano maggiori, specialmente quando le comunità si espandevano ai limiti della loro terra o quando le loro mandrie consumavano i pascoli. L’unica soluzione, ovvero lo spostamento, era abbastanza praticabile quando le foreste e i suoli fertili abbondavano ed erano disabitati. In un territorio più affollato, in cui le persone avevano già coltivato tutto il terreno laddove prima vivevano piante selvatiche, la fame e la morte erano inevitabili.
I rischi crebbero ulteriormente quando i contadini iniziarono a dipendere dalle piene dei fiumi, dalle piogge irregolari e da sistemi di irrigazione che portavano acqua vitale a terre altrimenti non coltivabili. In Mesopotamia la soluzione fu la città, localizzata vicino a strategici canali di irrigazione che prelevavano acqua dai fiumi Tigri ed Eufrate: ma anche quella fu una reazione inadeguata di fronte ai più violenti eventi El Niňo, o agli spostamenti verso sud della Zona di convergenza intertropicale……Con la crescita della popolazione, l’urbanizzazione e la diffusione della Rivoluzione Industriale, questa vulnerabilità è solo aumentata. ”


Quindi la storia dell’umanità ci ha portato una sempre maggiore complessità e mezzi molto più potenti per reagire ai cambiamenti climatici a breve termine, ma ci ha reso sempre più rigidi nei confronti di quelli a lungo termine che quando si verificheranno causeranno disastri su scala sempre più ampia[2]:
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“…uno sguardo alle interazioni del clima con la storia umana negli ultimi 15.000 anni rivela che in questo intervallo di tempo è stato al lavoro, più o meno continuamente, un altro processo: i nostri sforzi per proteggerci dai pericoli climatici di minore entità e più frequenti ci hanno reso allo stesso tempo più vulnerabili alle catastrofi più rare ma più gravi. L’intero corso della civiltà potrebbe essere visto come una costante risalita nella scala di vulnerabilità.”
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La conclusione è che dobbiamo imparare a conoscere e decifrare l’andamento del clima globale ed essendo ad una scala molto maggiore di vulnerabilità e di rigidità rispetto al passato (sovrapopolazione mondiale, problema dell’alimentazione, occupazione esasperata del territorio e deforestazione selvaggia) abbiamo l’imperativo di tenere i nostri cieli più puliti, i nostri territori più liberi ed armonici con le risorse naturali (rispetto del corso dei fiumi, non occupazione delle zone a rischio sia di essi che delle coste, ecc) pena disastri su scala gigantesca ed anche (perché nò) l’estinzione[3]:
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“…il presente problema del riscaldamento globale non è né una dimostrazione dell’obbiettivo ultimo del capitalismo di commettere peccati di natura industriale contro Madre Natura, né un’allucinazione apocalittica imposta al mondo da ambientalisti paranoici. Esso è semplicemente il riflesso della scala della nostra vulnerabilità, che definisce i parametri entro cui pensare e agire. I tempi ci impongono di imparare a decifrare i capricci del clima globale, di studiarne i ritmi, e di tenere i nostri cieli puliti da eccessive quantità di gas responsabili dell’effetto serra con la stessa diligenza, e per le stesse ragioni, con cui i contadini della Mesopotamia di 5.000 anni fa avevano dovuto imparare a conoscere i ritmi di vita dell’Eufrate, e a tenere i loro canali di irrigazione ragionevolmente liberi dal fango. Se non lo avessero fatto, gli dei si sarebbero arrabbiati; o, per dirla in termini più moderni, presto o tardi la loro incuria li avrebbe condannati alla rovina, e i loro canali intasati dai sedimenti avrebbero causato il fallimento dei raccolti, la fame e infine il disastro.”
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Non mi dilungherò ancora su questi concetti perché chi vorrà approfondire potrà farlo leggendo direttamente il libro qui recensito. Mi preme però introdurre un altro argomento che ci tocca da vicino in questo periodo.
Si parla molto ai nostri giorni di riscaldamento globale ma anche se la maggior parte del mondo scientifico dà ormai per scontato questo fenomeno ed anche le sue cause (l’accelerazione vertiginosa di esso, che per inciso sarebbe un fenomeno naturale, è causata dall’immissione nell’atmosfera di quantità sempre maggiori di gas-serra provocata dalla sconsideratezza dell’uomo e dalle sue attività ) vi è ancora chi vorrebbe ricondurre il tutto ad un “normale” andamento climatico adducendo a riprova il fatto che, ad esempio, in Europa nel presente abbiamo un clima assai freddo e caratterizzato da grande piovosità… Ad essi vorrei ricordare che fenomeni quali lo scioglimento di quasi la metà del ghiaccio di certe zone polari nel giro di pochi decenni non si può ricondurre ad un “normale andamento climatico” poiché se è reale che nel passato geologico della terra esso si è verificato altre volte, mai lo ha fatto con questa rapidità
[4]:
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La scienza moderna ha un accesso senza precedenti agli “archivi” del clima della Terra sotto varie forme – i sedimenti dei mari e dei laghi e delle torbiere, le carote di ghiaccio prelevate in profondità dalla Groenlandia o dai ghiacciai montani, e gli anelli di crescita degli alberi, per citarne solo alcuni. Da questi, sappiamo che l’Era Glaciale iniziò almeno 1,5 milioni di anni fa, con un graduale raffreddamento del clima globale. I campioni di sedimenti prelevati dal Pacifico documentano almeno nove intensi periodi glaciali avvenuti negli ultimi tre quarti di milione di anni, ciascuno caratterizzato da un ciclo che comprende un raffreddamento, un successivo riscaldamento, per chiudersi infine con una nuova glaciazione. Per almeno 500.000 degli ultimi 780.000 anni, il clima del mondo è stato in perenne transizione dal caldo al freddo o viceversa, e i periodi glaciali sono durati molto più a lungo degli intervalli caldi. ……
Nel 2000. Un gruppo internazionale di scienziati riuscì a prelevare una carota di ghiaccio alla profondità di 3623 metri attraverso la calotta glaciale antartica , nei pressi della base russa di Vostok …. La carota del lago Vostok ci porta fino a circa 420.000 anni fa, attraverso quattro transizioni da periodi glaciali ad altri caldi. Questi spostamenti avvennero ad intervalli di circa 100.000 anni, il primo circa 335.000 anni fa, poi 245.000, 135.000 e 18.000 – un ritmo ciclico.
Sembrano essere coinvolte due periodicità, una primaria di circa 100.000 anni e un’altra secondaria di circa 41.000. Insieme, esse supportano la vecchia teoria secondo cui i cambiamenti nei parametri orbitali della Terra – eccentricità, obliquità e precessione degli assi – causano variazioni nell’intensità e nella distribuzione della radiazione solare, che a loro volta stimolano cambiamenti climatici su grande scala. Il riscaldamento globale di 15.000 anni fa è l’effetto più recente di queste grandi rotazioni, culminate nell’Olocene, mille anni dopo la fine dell’Era Glaciale.
Le carote di ghiaccio della Groenlandia e di Vostok documentano anche grandi cambiamenti nella concentrazione nell’atmosfera di anidride carbonica e metano – i gas principalmente responsabili dell’effetto serra. Le quattro transizioni da periodi glaciali ad altri caldi, visibili nella carota del lago Vostok, furono accompagnate da aumenti di volume di anidride carbonica da circa 180 a 300 parti per milione. (Il livello attuale, in un mondo riscaldato dalle attività umane, è di circa 365 parti per milione. )…. Per prima cosa, cambiamenti dei parametri orbitali della Terra provocarono la fine di un periodo glaciale. In un secondo momento, l’aumento dei gas serra amplificò il debole segnale orbitale. Mano a mano che la transizione proseguiva, la diminuzione di albedo (riflessione della luce solare con relativa perdita di calore), causata dal rapido scioglimento delle vaste calotte glaciali dell’emisfero settentrionale, fece aumentare la velocità del riscaldamento globale.”
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Quando esso si è verificato nel lontano passato ha causato un rallentamento delle correnti oceaniche (ad es. corrente del golfo) fino a fermarne la circolazione ed a causare come contraccolpo un irrigidimento del clima europeo nonché numerosi altri fenomeni climatici che attraverso fasi di riscaldamento-raffreddamento portarono al susseguirsi di fasi climatiche parzialmente stabili, come si evince dalla lettura del testo[5]:
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“ L’afflusso di milioni di litri di acqua dolce glaciale nell’oceano Atlantico settentrionale ebbe come effetto quello di fermare la circolazione delle acque calde della Corrente del Golfo, che dipende dallo sprofondamento di acque salate nel Mare del Labrador.
Il risultato fu inevitabile: un gelo profondo in Europa, mentre i venti caldi dominanti da ovest vacillavano. Condizioni climatiche fredde, secche e ventose caratterizzarono una vasta regione fra l’America settentrionale e l’Europa, e si estese a sud fino all’Asia e all’Africa subtropicale. …. Le improvvise scariche di acqua fredda proveniente dallo scioglimento dei ghiacci nell’Atlantico settentrionale, … causavano l’arresto della normale circolazione delle acque oceaniche, stimolando quindi improvvisi raffreddamenti.”
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Questo sorprendente e complesso meccanismo oceanico, insieme a tutte le altre cause a breve, medio e lungo termine hanno determinato l’attuale fase climatica favorevole che perdura ormai da migliaia di anni e che è stata la “levatrice” dell’esplosione della nostra odierna civiltà (in 15.000 anni essa si è evoluta molto di più che in tutto il periodo da quando l’ uomo senziente calca questa nostra Terra).
Sarebbe veramente una cosa stupida manometterlo distrattamente per ignoranza o per egoismo, e per usare un parallelismo con la civiltà Mesopotamica che attraverso l’utilizzo dell’irrigazione cercò di superare i problemi climatici che dovette affrontare, per non volere “tenere in ordine i nostri canali di irrigazione”
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Bologna, 25 febbraio 2010
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Maurizio Vicinelli
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